GABRIELE RIGOLA, Una storia (non) semplice. Sciascia e il cinema, prospettive di ricerca

GABRIELE RIGOLA, Una storia (non) semplice. Sciascia e il cinema, prospettive di ricerca

Nel contributo si anticipano alcuni temi del VII Leonardo Sciascia Colloquium “«Porte aperte». Leonardo Sciascia e il cinema” (Circolo dei Lettori, Torino, 11-12 novembre 2016), di cui in questo volume di «Todomodo» si pubblicano gli atti: il rapporto che lo scrittore “spettatore” instaura con il cinema; lo studio dei prodotti cinematografici che hanno avuto origine dalle sue opere; il dibattito tra presenza o assenza di tecniche filmiche nei suoi testi; il parallelo interesse di Sciascia e del cinema a lui contemporaneo per la rappresentazione di fenomeni storici e sociali. Metodologicamente, il curatore degli atti segnala il duplice approccio in corso, da un lato, ai testi editi, anche meno conosciuti, e ai documenti filmici; dall’altro, alle fonti archivistiche. 
Pag. 15-20

ROSSANA CAVALIERE, Effetto cinema. ‘Excursus’ tra le pagine di Sciascia

L’articolo prende in considerazione alcune opere di Leonardo Sciascia che testimoniano della sua esperienza di spettatore cinematografico. Un primo gruppo di testi riguarda il trattamento che il cinema ha riservato alla Sicilia (interpretata, secondo lo scrittore, alternativamente come “mondo offeso”, “teatro della commedia erotica” o “luogo di bellezza e verità”), e l’evoluzione storica e sociale del “divismo”. A questo tema, in particolare, è dedicato il secondo testo analizzato, “Il volto sulla maschera”. Infine, in “C’era una volta il cinema”, le ambientazioni di “Nuovo Cinema Paradiso” si sovrappongono alle suggestioni dei ricordi sciasciani del primo incontro con il cinema nella natìa Racalmuto. 
Pag. 21-34

GIAIME ALONGE, Adattare Sciascia. Due studi di caso

A partire dai documenti relativi ai film “Todo modo” (Elio Petri, 1976) e “Cadaveri eccellenti” (Francesco Rosi, 1976), custoditi presso l’Archivio del Museo Nazionale del Cinema di Torino, l’autore del contributo procede a un confronto che evidenzia i punti di continuità (l’“ossessione del complotto”, la disillusione rispetto ad una efficacia di intervento politico della sinistra, il formato americano della sceneggiatura) e l’elemento di rottura, ossia il livello di letterarietà della scrittura scenica, maggiore nel caso di Petri, minore in quello di Rosi (cui, tuttavia, supplisce l’uso esteso di appunti e disegni). L’articolo è corredato dalle Tavv. I-IV (inserto fuori testo a colori). 
Pag. 35-46

FEDERICA VILLA, «Qualcosa che somiglia alla felicità». Leonardo Sciascia e la difficoltà del darsi a vedere

Prendendo le mosse dalla partecipazione di Leonardo Sciascia alla progettazione e realizzazione della collana Sellerio “La memoria” (1979), l’autrice del contributo avvicina questa esperienza editoriale e il “vizio […] della lettura” al profilo che Sciascia traccia di Mario Soldati (ora raccolto tra i saggi letterari sciasciani curati da Paolo Squillacioti per Adelphi nel 2016, “Fine del carabiniere a cavallo”): la differenza tra i due scrittori nel loro rapporto con il cinema è riletta alla luce della natura altamente “cinematografica”, capace di evocare immagini che finiscono per comporre il reale, del narrare di Soldati. 
Pag. 47-52

EMILIANO MORREALE, La grazia e il labirinto

L’autore considera il genere, ricorrente nelle opere di Leonardo Sciascia, dell’“indagine poliziesca della realtà storica”, il giallo che coinvolge avvenimenti reali passati o contemporanei: un trattamento letterario, che sembra però servire piuttosto a esplicitare la complessità del reale, che a chiarirla. Negli anni settanta (e oltre) il cinema poliziesco italiano è profondamente influenzato da temi e echi sciasciani, anche al di là della trasposizione delle sue opere: essi riguardano in particolar modo aspetti politici e civili, mentre assenti risultano quelli metafisici, legati alla “teologia negativa” dei testi dello scrittore. 
Pag. 53-62

CLAUDIO BISONI, Ognuno a proprio modo. Sciascia, Petri, l’impegno, il cinema

Oggetto del presente articolo è il rapporto tra Leonardo Sciascia e Elio Petri: partendo dall’analisi della corrispondenza dell’Archivio Petri (Museo Nazionale del Cinema, Torino), l’autore riflette sulle iniziali incomprensioni tra i due intellettuali e su come l’apprezzamento di Sciascia del “Todo modo” cinematografico implichi tuttavia il riconoscimento del film come oggetto ‘altro’ rispetto alla propria opera, alla luce del modo differente di intendere il ruolo dell’intellettuale e l’“ironia nell’impegno” a cui questi è chiamato. 
Pag. 63-70

GABRIELE RIGOLA, «Si potranno metter dentro i preti e gli Osservatori Romani?». Una prima indagine sulla corrispondenza sciasciana e il cinema

Sulla scorta di un primo spoglio della corrispondenza, custodita dalla Fondazione Leonardo Sciascia (Racalmuto), tra lo scrittore siciliano e diverse personalità del cinema italiano, l’autore propone alcuni case studies significativi e meritevoli di ulteriori indagini: tra questi, la partecipazione di Sciascia alla stesura della sceneggiatura di “Bronte” (1972), le lettere scambiate con Guido Aristarco (direttore di «Cinema Nuovo»), gli inviti a intervenire con articoli nel dibattito sul cinema, e una prospettata consulenza per i dialoghi dell’“Avventura” (1960) di Antonioni. Il contributo è corredato da due riproduzioni nel testo (pp. 81 e 84). 
Pag. 71-86

ROBERTO ANDÒ, Lo scrittore e i suoi labirinti. Il potere delle immagini e l’invisibilità del male in Leonardo Sciascia

L’autore del contributo rilegge il rapporto tra Leonardo Sciascia e il cinema, anche a partire da alcune dirette testimonianze, da lui stesso raccolte, dello scrittore: le mancate collaborazioni con Michelangelo Antonioni e Sergio Leone; i rapporti con i registi Francesco Rosi, Gianni Amelio, Giuseppe Tornatore; l’ammirazione per Federico Fellini. Viene inoltre analizzata la preferenza di Sciascia per la fotografia e le arti visive in generale e il ruolo narrativo che i ritratti rivestono nei suoi romanzi. Similmente, i ritratti fotografici eseguiti da Ferdinando Scianna appaiono come l’immagine più vera che lo scrittore abbia voluto lasciare di sé. 
Pag. 87-102