Un po’ di moto e quindi d’equilibrio: è questa una definizione possibile delle contraddizioni sciasciane, che costellano la sua parabola di scrittore così come la sua avventura politica. La rubrica, che prende il nome dalla celebre dichiarazione sciasciana, trova qui la sua spiegazione e inaugura il suo spazio introducendo la controversia che investì “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Un romanzo rigettato da Sciascia, sulla scia di Vittorini, e che dopo fu oggetto di una timida palinodia. A confrontarsi sul tema, Nunzio Zago, professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Catania e Gioacchino Lanza Tomasi, musicologo, figlio adottivo dello scrittore palermitano: due punti di vista diversi sulla vicenda, che si integrano colmando anche minimi interstizi: letterari, ideologici, estetici.
Pag. 205-208
Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Leonardo Sciascia non si sono mai incontrati, tuttavia li unisce l’opera e la polemica. Sciascia si scagliò come altri sulla falsità storica della tesi espressa ne “Il Gattopardo”, in particolare sulla cancellazione integrale della protesta borghese e contadina, cioè della presenza stessa del mondo e della cultura da cui egli proveniva e che pur aveva dato vita ai Fasci siciliani. Nel 1959 “Il Gattopardo” vince il premio Strega e supera ogni resistenza ideologica; in Sciascia rimarrà il biasimo ideologico, distinto però dalla valutazione letteraria, un atteggiamento che fa ipotizzare per assurdo che i due contendenti, se avessero avuto l’occasione di conoscersi, avrebbero finito per diventare non propriamente amici, ma indispensabili l’uno all’altro senza rinunciare alle proprie idee.
Pag. 209-221
Sciascia rivolge al “Gattopardo” l’accusa d’immobilismo, un’opinione che risente del contagio del clima post-resistenziale, da un’ansia generosa di riscatto e impegno civile, così che il romanzo di Tomasi di Lampedusa, al contrario dei “Vicerè” di De Roberto, ha il solo merito di lasciarci ancora più radicati ‘nelle convinzioni nostre, nel nostro modo di essere siciliani’. Il modificarsi dell’opinione di Sciascia risale agli anni Settanta ed è attestato da una lettera a Giuseppe Paolo Samonà nella quale ammette quanto il Gattopardo sia ‘un libro positivamente importante per quegli stessi elementi che allora mi parvero negativamente importanti’ e che ‘certe illusioni mi impedivano di scorgere’.
Pag. 223-228