Il Presidente della provincia regionale di Palermo commenta il tema del convegno “L’etica del potere per Leonardo Sciascia”, mettendo in evidenza quanto sia istruttivo e stimolante ragionare sull’etica del potere grazie all’interpretazione di uno scrittore raffinato e colto. Istruttivo perché riporta alla mente che il potere, inteso come capacità di agire ma anche di influenzare i comportamenti, deve essere esercitato per il bene comune. Stimolante perché è dovere della politica lavorare affinché questo bene comune si realizzi per definire e difendere la dignità dell’uomo.
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Il convegno di Palermo del 19-20 novembre 2010, i cui atti sono raccolti in questa rassegna, ha messo al centro del proprio dibattito la tensione tra etica e potere che percorre tutta l’opera di Sciascia. Nei suoi scritti infatti, fin dalle Parrocchie di Regalpetra, l’autore contrappone la giustizia e la libertà al potere, ottuso e violento. Questo rapporto particolarmente critico raggiungerà l’apice negli anni Settanta, dalla pubblicazione del Contesto fino all’Onorevole, anche grazie all’acceso dibattito sulle riviste e attraverso l’esperienza diretta di Sciascia che da scrittore che si è sempre occupato di politica vestirà anche i panni dell’uomo politico, come consigliere comunale a Palermo e come deputato a Montecitorio, affrontando in prima persona i paradossi del potere. I lavori del convegno hanno seguito tre tracce principali: la letteratura e il potere, la pratica della politica, gli intellettuali e il potere.
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Il tema del convegno di Palermo nasce dalla riflessione di alcuni membri dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia sull’impegno letterario, civile, politico di uno scrittore che ha avuto la forza di diventare una guida intellettuale, ammirata ma spesso anche criticata. L’analisi del concetto del potere in Sciascia si presta dunque a varie letture e punti di vista, seguendo la complesse biografia dell’autore e le sue opere.
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La grammatica del potere, l’opacità della lingua nella comunicazione politica, l’intrinseca linguisticità di ogni argomentazione razionale: sono i cardini di questa breve analisi dell’opera sciasciana. Sciascia utilizza le parole con responsabilità e analizza quelle degli altri mettendone in luce le conseguenze. Lo scrittore è contraddistinto da una fede a una religione civile che fa della letteratura l’unico terreno in cui l’etica può rifiutare la logica del potere, a partire dall’opaca inautenticità della lingua di cui fa uso.
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Attraverso l’analisi di “La zia d’America”, “Todo modo” e “L’affaire Moro”, si percorre il problema dell’etica del potere sullo sfondo del progetto letterario di Sciascia. Nel primo racconto, che narra lo sbarco americano del 1943, fondamentali sono le lettere della zia, il cui micropotere deriva da quello americano di cui è il nunzio: l’America ha vinto la guerra e il conflitto si lega al potere e alla ricchezza. Nel 1974 esce “Todo modo”, che chiude la tetralogia civile sciasciana (dopo “Il giorno della civetta”, “A ciascuno il suo”, “Il contesto”); è un‘opera polisemica che rimanendo nella dimensione letteraria tracciata da Poe e Christie, rimanda ad alcuni schemi narrativi dai quali scaturisce l’idea del fare letteratura come scrivere lettere aperte, ovvero testi polemici rivolti all’opinione pubblica e a chi esercita il potere. Nell’ “Affaire Moro” è ancora la lettera a diventare veicolo di un dialogo con il potere: le lettere di Aldo Moro vs gli enunciati della politica trasmessi dai mass-media; lo scarto profetico è dato da un assassinio questa volta reale. Sciascia non propone nessuna etica del potere, perché secondo lo scrittore il potere ne è privo e l’etica è lasciata alla letteratura.
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Il racconto “Reversibilità” (in “Il mare colore del vino”) prende spunto da una poesia omonima di Baudelaire, affrontando il tema teologico del riscatto. Il termine si ritrova in due occasioni di scrittura civile: le morti di Pasolini e Moro e torna nel linguaggio politico in diverse accezioni. Il concetto di reversibilità si lega anche al trasformismo e da qui alla tradizione letteraria siciliana, da Verga a Tomasi di Lampedusa, a De Roberto, per affrontare in Sciascia il tema del progresso, delle idee che muovono il mondo. La scelta dell’impegno civile e dell’adesione a un partito rappresenta in Sciascia l’unica reversibilità, il voler scambiare la politica con l’etica.
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Sciascia usa il genere poliziesco come strumento per l’analisi etica del potere e non a caso oggi il giallo è diventato negli ultimi anni il medium letterario prescelto per riflettere sulla società contemporanea. Attraverso l’analisi del “Giorno della civetta” si può confrontare l’impegno sociale e politico di Sciascia a quello di due scrittori contemporanei di letteratura di genere, Marcello Fois e Andrea Camilleri, che in qualche modo e in contesti differenti prendono l’autore racalmutese come modello.
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Il valore della memoria è esplicitato in una pungente rassegna sulle polemiche nate attorno l’attività di critico per il “Corriere della Sera” di Sciascia, in particolare sull’articolo “I professionisti dell’antimafia”; le citazioni delle varie voci del dibattito socio-politico, anche letterario per quel che riguarda “Il giorno della civetta”, oltre a riprodurre il contesto in cui agirono i giudici Falcone e Borsellino, danno valore alle affermazioni di Sciascia sull’Italia, paese senza memoria e senza verità.
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Al di là della polemica tra Sciascia e Scalfari innescata dalla scrittura de “L’Affaire Moro” all’indomani della tragedia politica, e oltre gli errori interpretativi, l’opera dello scrittore racalmutese ha il merito di aver rappresentato il pensiero dei tanti suoi lettori che avevano disprezzato Moro quando era un uomo libero, ma erano rimasti colpiti dal dramma della persona e vivevano questa contraddizione emotiva e psicologica a cui lo scrittore ha dato voce. La forza culturale del libro di Sciascia è quella di porsi al crocevia delle tre principali forme di critica antistatualista presenti in Italia: quella rivoluzionaria ed extraparlamentare, quella cattolica e infine quella anarchico-individualista.
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Leonardo Sciascia ha mantenuto per lungo tempo un rapporto critico con il Partito Comunista. Il fascismo, la guerra di Spagna, la questione sociale, sono contingenze storiche che Sciascia ha conosciuto da vicino e che hanno creato una coscienza contro il partito del potere, favorendo l’incontro con il Partito Comunista. Tuttavia Sciascia resterà sempre un intellettuale disorganico, incapace di allinearsi al partito pur arrivando a candidarsi nelle sue liste nel 1976, con la speranza di un rinnovamento: il potere però verrà sempre criticato, anche dal di dentro, soprattutto nella capacità di permettere la reversibilità (come nel caso dei fascisti che all’indomani della Liberazione andarono a ingrossare le fila del Partito di Togliatti). Tra le sue opere, in chiave puramente politica è stato letto “Il contesto”, scatenando numerose diatribe sui giornali, perché racconterebbe il passaggio dei comunisti al potere e il rapporto della sinistra con la Democrazia Cristiana.
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Tre testi raccontano in particolare l’idea dell’intellettuale secondo Sciascia: la risposta a Sanguineti sulla “Stampa” nel 1997, in un periodo di confronto serrato tra scrittori e uomini politici sulla stampa nazionale e con una polemica aspra sui doveri e le responsabilità degli uomini di cultura verso un impegno anche civile; il saggio “Il secolo educatore su Diderot”, intellettuale che ha inventato questa professione e che poteva permettersi questa etichetta; la prefazione alle “Lettere spirituali” di Giuseppe Rensi, filosofo emarginato dal fascismo. L’isolamento è una delle condizioni dell’intellettuale, insieme all’estraneità, e nel suo multiforme ingegno Sciascia si è affermato come sintesi dell’ ‘umanista’, tra virgolette.
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Nella primavera del 1977 esplode la disputa sul nikodemismo su giornali e riviste; questo evento è centrale per stabilire la natura dell’interventismo civile di Leonardo Sciascia. Quando nel maggio di quell’anno si apre alla corte d’assise di Torino il processo ad alcuni capi storici delle Brigate rosse, sedici giurati popolari rinunciano al mandato adducendo certificati medici. Il 5 dello stesso mese Eugenio Montale, sin dal 1967 Senatore della Repubblica, ne giustifica in un’intervista il timore per l’incolumità personale e si dichiara partecipe di un simile, endemico, sentimento di insicurezza. Si avvia così una veemente polemica circa la viltà e l’ipocrisia irresponsabile degli intellettuali italiani dinnanzi al terrorismo, che avrà nello scrittore di Racalmuto e nell’esponente comunista Giorgio Amendola i contendenti maggiori. Il ruolo dell’intellettuale secondo Voltaire è paragonabile a quello del pesce volante, che corre il pericolo in aria di essere divorato dagli uccelli e nelle profondità acquoree di essere preda di pesci voraci, una specie insomma esposta a tutte le insidie, ma proprio per questo nobile a dispetto di ogni avversario.
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L’impegno di Sciascia nella letteratura, ma anche il fare politica e lo scrivere su ciò che accadeva, erano lo strumento di un’eresia ben distante dal modello dell’intellettuale organico. Sempre fuori dal coro, sempre pronto a privilegiare la verità, anche a costo di contraddire senza riguardo, di perdere amici e lettori, perché per Sciascia era meglio perderli che ingannarli. L’impegno civile di Sciascia fra politica e giornali, in particolare il “Corriere della Sera”, è scandito dalle riflessioni sul sequestro Moro, divenuto “L’affaire Moro”, sull’arresto ingiusto di Enzo Tortora e sui guasti della giustizia; fino a un esame critico della lotta alla mafia e alla provocazione che lo portò a svelare i rischi di quanti avrebbero potuto usare l’antimafia come strumento di trasformismo: i professionisti dell’antimafia, come furono etichettati dal titolo dell’articolo, confezionato in redazione, rinfacciato a Sciascia e che provoca ancora polemiche.
Pag. 101-108
Un’intervista-dialogo in cui si ricordano Sciascia, Pasolini, le coincidenze letterarie tra i due, “L’Affaire Moro”, il rapporto degli intellettuali con il Partito Comunista e i Radicali (comprendendo in questo Vittorini) e l’idea di Sciascia del potere.
Pag. 109-118
Sono raccolti qui i momenti più significativi del dibattito fra i relatori (Ambroise, Gotor, Macaluso, Vecellio), e tra questi e il pubblico, toccando tutti i temi principali del convegno, in particolare quindi il rapporto tra etica e potere, e ripercorrendo le polemiche più recenti, come quella legata alla trasmissione di Fazio e Saviano, “Vieni via con me”.
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